Progettazione logo Degù.
Ideazione e progettazione logo Degù
Degù inaugura a Lanciano sabato 25 giugno e non è solo una bottega alimentare.
Per la prima volta potete entrare e degustare i prodotti direttamente dalle filiere scelte,
quindi non solo avrete modo di scegliere verdura e frutta di qualità,
ma avrete anche la possibilità di gustare abbinamenti pregiati.
Credo di aver ideato uno tra i loghi migliori di quest’anno
e che allude a più cose: a forchette che si incrociano,
a verdure dal gambo lungo che si sfiorano, oppure ad un cappello da cuoco
verde scuro, quindi ad indicare il binomio “bottega e cucina”.
Non mancate di passarci.
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Riguardo il visual di Agroalimenta.
Riflettevo su quello che è stato l’impatto per alcuni del visual progettato per Agroalimenta, la fiera che si terrà a Lanciano (Ch) da domani. Premesso che è un visual ottenuto con una normale fotocomposizione ottenuta da quattro foto diverse, quindi con tutto quello che può significare in un lavoro di questo genere e non potendo avere a disposizione fotografi e modelle, e non per mia scelta, tutto quello su cui puntavo era di dare una immagine solare, naturale e, come mio solito, arricchita di simboli.
Chiaramente, nella piena democrazia che ci circonda, il pubblico è libero di rimanere coinvolto o no dalla cosa e sono tra l’altro consapevole, per il cosiddetto “effetto melegatti”, che non vale sempre la regola del “purché se ne parli” perché un boomerang è sempre dietro l’angolo.
Quindi, per il lavoro che faccio, mi prendo tutti i rischi del caso, se può funzionare o no l’immagine creata.
E ringrazio i messaggi privati di solidarietà (perché solo privati posso averli, nel mio caso).
Premesso questo mi preme dire alcune cose.
Non sopporto più l’ipocrisia intellettuale di parte degli utenti. Se ho deciso di inserire tre figure femminili non è certo per stimolare istinti erotici di chi guarda, anche perché se ci sono considerazioni tali quello spaventato sono io, perché se basta un casco di peperoni per idealizzare un proprio concetto di prostituta è davvero il massimo dell’imprevedibile depravazione. A cui io non arrivo.
Io passo per altre strade: per me la figura femminile rappresenta altro, è ovvero l’altezza massima di ogni sensazione, la musa attraverso la quale tutto si forma e trova dimensione. Le tre muse, oltre a rappresentare un tricolore, accennando ad un territorio, rappresentano la bellezza della terra, dei prodotti, della cucina, ovvero tutto ciò a cui Agroalimenta aspira a voler dimostrare.
Le muse sono femminili perché incarnano la bellezza e la bellezza più alta è quella femminile e non intesa come bellezza materiale. L’esterno descrive l’interno e viceversa l’interno riflette di proprio all’esterno, come Madre Terra. Non è un concetto nuovo, mi sembra, per la cultura umana. Qualcosa di simile veniva applicato dai greci nella struttura delle sculture, nella bellezza dei corpi nudi, maschili e femminili, che nella loro forza espressiva materiale rimandavano all’essenza dello spirito. E così via. E così anche per un Rinascimento, tra casti santi e sante una bellezza vestiva esternamente lo spirito infuocato.
Ora come pubblicitario non vorrei proprio vestirmi di tutto questo per voi. Perché penso semplicemente che ne sappiate di più voi per la vostra cultura personale.
Se devo ricevere critiche spero solo che non siano superficiali, ovvero che non tengano conto di ciò che io ho voluto esprimere. Casomai è proprio da qui che si può criticare e dire: ok, Luca, non sei riuscito a riportare la bellezza antica della terra tramite i tuoi simboli, forse potevi usare un’altra strada.
Ecco, questo lo avrei apprezzato.
Sentire frasi superficiali, rivolte a quella che è la mia sintesi, e che più o meno erano tipo: “solite donne nude, solito uso della donna oggetto, immagini vecchie per una fiera vecchia, immagini kitsch senza alcun senso se non eroticizzare un passante…” Ecco, io, di tutto questo, provo noia. E stanchezza. Il primo passo della superficialità è l’ipocrisia e l’ammassare tutto nello stesso fascio di cose. Preso e messo nel calderone dei peccatori.
Anni di cultura e di indignazione per cosa? Anni di libertà e jesuis per cosa?
Se poi penso che l’immagine alternativa per questi giovani uomini del marketing sarebbe la classica verza su fondo neutro accompagnato con carattere corsivo (per essere precisi il “Didot italic”) alludendo ad una sobria eleganza ma muta e che ormai è diventata, per causa vostra, orrendamente di massa e priva di differenze da coltivare (ogni cliente è uguale al concorrente, per voi) allora, miei cari, sono più indignato di voi. Per la vostra carenza di spina dorsale. E per le vostre palle mancate.
Lieto, quindi, di farvi da bersaglio. Forse per questioni politiche o personali, per mancanza di argomenti per affondare un ente di tipo pubblico.
E di altre cose di cui mi ricordo e che mi fanno pensare e che alla conferenza stampa dell’anno scorso mi ricordo la voce di alcune amiche giornaliste che si facevano sentire, con rispetto: “non sarebbe ora, per parità, di usare nudi maschili?”. Come se il problema fosse questo. Come se la questione è quella di andare dal macellaio e cambiare il pezzo di carne appeso. Dalle donne vorrei altro, proprio perché le ho sempre poste sopra di me. Proprio perché sono le muse dell’ispirazione dell’uomo. Proprio perché nasciamo da loro. Proprio perché ci fanno penare l’inferno per il loro amore. Proprio per loro io vorrei che dicessero altro. Non è l’ora dei nudi maschili, no, no, signore. E’ l’ora della bellezza spirituale e culturale, come lo fu per la Grecia. Soprattutto.
Avete il diritto sacro e santo di protestare se ci sono pubblicitari beceri che alludono palesemente al corpo oggetto, ma non avete il diritto di censurare se non sapete distinguere, perché diventate bigotte. Avete il diritto sacro e santo di dire che quella bellezza può essere offensiva per la vostra, perché le donne in carne non devono essere offese, ma avete il diritto di saper distinguere, leggere e comprende i simboli e i messaggi e di insegnarli, soprattutto se ci tenete alla comunicazione.
Altrimenti si arriva al paradosso dell’ipocrisia. E del nulla.
E se comincio ad avere dubbi anche sulle donne, come pubblico, allora tutto questo lavorare con passione non mi serve più a nulla.
Perché non serve più a niente Distinguere.
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